Orgoglio Piacenza
Filosofo
“Sono nato nei Roaring Sixties a Cavaria City (se qualcuno si ricorda quel carosello è mio coetaneo)”. All’età di sei anni, come capita a tutti i bambini, si è innamorato: di Kant e di Picasso però – e da quel momento ha studiato filosofia e arte. Questi amori lo hanno portato prima a Flash Art, la rivista di punta sull’arte contemporanea. Poi, a metà anni ’90, a Canale 5, e Italia 1 – a realizzare un programma televisivo interamente sull’arte. Ricorda quegli anni come “folli e felici”, in cui abbiamo creato puntate memorabili come quella dedicata alla Biennale Arte del 1997 con Gene Gnocchi . Ma non ha lasciato i miei interessi filosofici, anche grazie all’incontro con quello che considera il più grande filosofo vivente, Slavoj Žižek, che ha avuto la fortuna di conoscere e di introdurre per la prima volta nella cultura italiana. Così, ha pubblicato diversi saggi, tra cui Arte e Televisione. Da Andy Warhol al Grande Fratello, Postmedia, 2009 (nuova ed. 2021), Obversione. Media e disidentità, Postmedia, 2014 (nuova ed. 2022); Duchamp. La scienza dell’arte, Meltemi 2019 (ediz. francese 2022). Nel frattempo ha insegnato al Liceo Gioia e in università come Milano Bicocca, IULM, IED - ed è stato professore di Teoria dei Media all’Accademia di Belle Arti di Brera. Si è trasferito a Piacenza nel 2000 e, proprio a Piacenza, nell’ex-centrale elettrica di Portaluppi, ha realizzato la mostra internazionale d’arte contemporanea Cover Theory - L’arte come reinterpretazione, (2003) a cui sono ne seguite tante altre. Oggi è curatore dello spazio milanese The Prism Core Center.
A Piacenza sono arrivato per amore, sia nel senso che ho seguito mia moglie, sia perché mi sono innamorato della città, così diversa da Milano e Roma dove avevo abitato. Poi è la città di William Xerra –artista su cui ho scritto la mia prima recensione nel 1976, a sedici anni. Ma la verità è che quando ci ho messo piede la prima volta, più di vent’anni fa, la città sembrava come un incanto uscito dall’Amarcord felliniano. Non c’erano nemmeno le strisce dei parcheggi, eppure non c’erano problemi: una situazione idilliaca che aveva portato la città in vetta a quelle più vivibili nel 2000, e a ragione. La città è una festa per lo storico e l’amante dell’arte: radici romane, vestigia medievali, capolavori rinascimentali, gioielli barocchi, spruzzate novecentesche, grandi segni razionalisti. Pensate solo a come dialoga il Liceo Gioia, capolavoro del razionalismo firmato Mario Bacchiocchi, con l’enorme mole del cinquecentesco Palazzo Farnese. Poi, mi sono anche appassionato di alcune figure storiche della città: il favoloso Giandomenico Romagnosi, giurista e filosofo; il sottovalutato Melchiorre Gioia, inventore della statistica; e soprattutto lo stupefacente Pietro Giordani, talent scout di Leopardi e amico di Canova, ma finito in carcere a settant’anni per le sue simpatie giacobine. Di lui mi rimarrà l’icastica frase sulla “Viltà merdosa di questo secolo” che, nata per definire il suo secolo, si addice ahimè assai bene anche al nostro.
Mi sento un privilegiato perché non ho praticamente passioni all’infuori del mio lavoro di scrittura, lettura, pensiero. In un certo senso invidio chi ha degli hobby, come coltivare orchidee, costruire modellini di ferrovie, o collezionare farfalle. Per me è praticamente impossibile – “cogito ergo laboro” penso e quindi lavoro sempre! Una passione però ce l’ho: è quella di frequentare giovani o persone diverse da me per cultura, convinzioni, ambiente. Perché da ultimo la filosofia consiste proprio in questo: non stabilire un proprio credo e poi imporlo agli altri, ma ascoltare le convinzioni di tutti, senza però stancarsi mai di metterle in discussione.
Piacenza è un ipertesto stratificato. Tutta la sua storia è una Cover Theory, un gioco di citazioni e rifacimenti, e basterebbe guardare piazza Cavalli per capirlo, dato che i due Farnese fingono di essere Marc’Aurelio e la facciata del Gotico gioca a mettersi dei merli medievali di cui non ha nessun bisogno. Per giocare a questo ipertesto propongo alcuni metodi: primo, visitare la Madonna con Bambino di Botticelli al Museo di palazzo Farnese. Gli allestitori hanno collocato il tondo in una stanza buia che si illumina di colpo all’arrivo del visitatore. Lo shock è tale che servono diversi minuti per riprendersi… Ma poi, osservarlo da vicino è un godimento indicibile: i petali delle rose sono semplicemente un enigma ipnotico. E dopo, perché non fare un salto alla chiesa di San Sisto? D’accordo, la Madonna di Raffaello adesso è a Dresda, ma qualche tela moderna ripaga ampiamente della visita. Per finire, propongo una sosta meditativa davanti al Dolmen, il monumento ai caduti sempre opera di William Xerra, che, contro il parere di tutti, riuscì a edificarlo nell’ormai lontano 1976. Con il suo monito di pietra, quest’opera è forse uno dei più bei monumenti pubblici italiani.
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