Orgoglio Piacenza
Docente, Perito d'arte e Curatore Ente Museo Palazzo Costa
Marco Horak è un accademico piacentino, autore di numerosi libri, saggi e articoli; consulente e perito d’arte del Tribunale e della Procura della Repubblica è iscritto all’albo dei docenti-formatori in materia di storia dell’arte del Ministero dell’Università e della Ricerca. Dopo la laurea all’Università Bocconi di Milano e varie esperienze professionali, si è specializzato in gestione dei beni culturali e in scienze documentarie ed ha poi conseguito il dottorato in storia dell’arte e museologia, approfondendo le tecniche peritali e l’analisi storica, stilistica e iconografica della pittura italiana. E’ docente ai corsi specialistici di Scienze Documentarie a Bologna, tiene inoltre corsi monografici e workshop in varie università come docente a contratto. Ha partecipato a importanti convegni internazionali, alcuni dei quali tenutisi al Senato della Repubblica, alla Camera dei Deputati, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e in varie sedi universitarie ed accademiche in Italia e all’estero. Ha collaborato alla mostra “Salvator Rosa tra mito e magia”, tenutasi al Museo di Capodimonte a Napoli nel 2008, e a diversi altri eventi espositivi. Recentemente ha curato, assieme a Vittorio Sgarbi e Dario Del Bufalo, la mostra “Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento” al Mart di Rovereto (Trento) e la mostra “Fakes, da Alceo Dossena ai falsi Modigliani” in Palazzo Bonacossi a Ferrara (sempre in collaborazione con Vittorio Sgarbi e Dario Del Bufalo). Ha prestato consulenze per la pittura antica a case d’asta e ad alcune importanti gallerie sia in Italia che all’estero, ha inoltre fatto parte del comitato scientifico di due musei italiani e del comitato di redazione di alcune riviste scientifiche E’ Senatore Accademico dello Studium, Accademia di Casale e del Monferrato per l’Arte, la Letteratura, la Storia, Le Scienze e le varie Umanità (fondata nel 1476), Accademico Ordinario dell’Académie internationale de généalogie e membro dell’Accademia Melitense di Madrid. Ha ricevuto numerose onorificenze internazionali quali, a titolo esemplificativo, il titolo di cavaliere di jure sanguinis dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio (ramo spagnolo), di commendatore di gran croce dell’Ordine di Villavicosa (Portogallo), di cavaliere dell’Ordine di San Michele (Portogallo), di Vitez Rend (Ungheria) e numerosi riconoscimenti quali la croce al merito degli Hidalgos di Spagna, la medaglia di benemerenza dell’Istituto Cavalieri di Santo Stefano di Pisa (ente pubblico) e la croce al merito della Croce Rossa Internazionale.
Può apparire curioso il mio forte senso di appartenenza alla città di Piacenza, dal momento che la mia famiglia, da parte di padre, è di origine straniera (mio nonno Josef era suddito dell’Impero Austro-Ungarico), ma mia madre, Chiara Bianca Maria Giulia Scotti, discendeva da una delle antiche famiglie che hanno retto le vicende storiche della città per diversi secoli (anche se il suo ramo, quello degli Scotti di Passano e Montebolzone, era ed è da considerarsi fra i meno prestigiosi nell’ambito dei quasi quaranta rami in cui si articolava la genealogia dell’illustre casata). Inoltre, la bisnonna di mia madre era la contessa Emilia Dal Pozzo Farnese (fra le ultime discendenti della storica famiglia, che con lei si estinse) che ha legato il suo cognome ad un avvenimento fra i più importanti dell’intera storia di Piacenza, tanto da aver segnato in modo significativo i destini della città. Infatti nel 1547 avvenne il noto eccidio della Cittadella in cui rimase vittima il duca Pierluigi Farnese, primo condottiero del Ducato (che inizialmente si declinava come Ducato di Piacenza e Parma) e in quell’occasione il giureconsulto Barnaba Dal Pozzo, molto legato alla famiglia ducale e avo di mia madre in linea materna, recuperò la salma del duca dal fossato della Cittadella e ne curò il trasporto alla chiesa di S. Maria degli Speroni (oggi San Fermo). A seguito di questo atto di umana pietà e di fedeltà alla famiglia ducale, i Dal Pozzo vennero investiti del feudo di Castelnuovo Val Tidone, ricevettero l’autorizzazione di inquartare il proprio stemma con i gigli farnesiani e venne modificato il loro cognome in Dal Pozzo Farnese, come segno di riconoscimento per la vicinanza alla famiglia ducale. Mia madre sentiva forte il senso di vicinanza ai Farnese (anche se, come ho già chiarito, si trattava solo di un’aggiunta al cognome.. .ma non vi era alcun legame di parentela con la famiglia ducale) e in parte lo ha trasmesso pure a me, non a caso negli ultimi anni ho organizzato, assieme all’illustre storico Pierfelice degli Uberti (il più famoso genealogista ed araldista a livello internazionale), una serie di convegni di studi farnesiani in diverse città: a Piacenza (2018, Palazzo Farnese), a Napoli (2019), a Palermo (nella prestigiosa sede di Palazzo dei Normanni, sede della Regione Sicilia), a Madrid (nel Collegio Universitario Mayor Marques de la Insenada) e ancora a Piacenza (2021, a Palazzo Galli), mentre altri verranno programmati in futuro.
Personalmente mi ritengo molto fortunato (a parte l’argomento salute, non sempre particolarmente generoso con me) perché la mia attività professionale coincide esattamente con le mie passioni (che non fatico a definire “viscerali”), ossia l’arte antica e la storia. Tali passioni mi hanno portato, nel corso degli anni, a scrivere un numero cospicuo di articoli, saggi e libri con continuo (purtroppo lento e ancora molto perfezionabile) miglioramento nell’ambito del lavoro di ricerca, approfondimento ed esposizione dei contenuti. A volte, rileggendo i miei scritti di qualche decina di anni fa, mi trovo ad essere molto critico con me stesso e questo atteggiamento è da ritenersi positivo perché dimostra come la lenta, ma costante evoluzione degli elaborati dimostri come “nessuno nasce imparato”, ma piuttosto come solo gli studi e l’esperienza portano a una graduale maturazione. Sotto questo aspetto sono da invidiare le persone che hanno vissuto e lavorato a lungo, come ad esempio il mio compianto amico prof. Ferdinando Arisi, scomparso dieci anni fa nel 2013, che ha continuato la sua attività fino alla veneranda età di 92 anni, pervenendo a risultati sempre più apprezzabili con il trascorrere del tempo e che ci ha lasciato un’importante eredità in fatto di conoscenza dal patrimonio artistico di Piacenza. Ma la mia passione personale, fortunatamente, è condivisa pure da molti altri studiosi, grazie ai quali la storia della nostra città, intesa in senso lato, verrà sicuramente tramandata: mi riferisco a studiosi “puri”, che non fanno del loro lavoro una forma di vanagloriosa autocelebrazione, ma che sono tesi alla ricerca di soda cultura, separata da qualsiasi tentativo di spettacolarizzazione. Potrei fare diversi nomi, ma per estrema sintesi (non senza scusarmi con tutti gli altri meritevoli di menzione) ne nomino solo due: Stefano Pronti, che ha alle spalle molti decenni di fecondi studi, e Fabio Obertelli, un giovanissimo che ha già dato prova di straordinario rigore scientifico nel suo lavoro: quindi un rappresentante della gloriosa “vecchia guardia” e uno delle “giovani promesse”, quasi un connubio ideale fra passato (ma ancora presente) e futuro: un presagio e una speranza di grande conforto per il divenire degli studi nell’ambito della nostra Città (e non solo).
Come era solito sostenere il grande storico dell’arte Bernard Berenson (ovviamente senza la presunzione di volermi accostare a lui…) “mai battezzare fuori dalla propria parrocchia”, quindi mi limito a raccontare il mio personale legame con il territorio con riferimento al circoscritto perimetro dell’attività della mia piccola fondazione che ha sede ed opera a palazzo Costa, nel centro storico di Piacenza. L’obbiettivo che mi ero posto, e che almeno in parte ritengo di aver conseguito (anche se tutto è sempre perfezionabile), era ed è quello di realizzare un “museo ambientale”, ossia un apparato espositivo che, secondo i canoni più volte predicati da Federico Zeri, il più geniale storico dell’arte del secolo scorso, si presentasse al visitatore come un insieme di ambienti, nell’ambito dei quali sono collocate le opere d’arte, che appaiano come sale abitualmente abitate, come all’epoca in cui vennero concepite. Infatti secondo Zeri le opere non vengono realizzate dagli artisti con finalità museali, ma il più delle volte per corredare chiese, palazzi ed edifici in genere, solo in un secondo tempo, e di solito molto tempo dopo la scomparsa dell’artista, possono trovare collocazione in un museo, come usualmente lo intendiamo. In Italia vi sono diversi esempi importanti di “musei ambientali” – solo a titolo esemplificativo cito quello di Palazzo d’Arco a Mantova e la Galleria di Palazzo Borromeo all’Isola Bella del lago Maggiore – e la mia ambizione (facendo le debite proporzioni naturalmente…) era ed è quella di realizzare un apparato espositivo, benché assai più modesto, nella città di Piacenza, dove i visitatori possano percepire “un museo d’atmosfera” più che “un’atmosfera da museo” (Zeri, cit.). Se ci sono riuscito, almeno in parte, oppure no solo i visitatori possono dirlo.
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